« Le piaceva passeggiare per strada con dei libri sotto il braccio.
Essi rappresentavano per lei ciò che il bastone da passeggio rappresentava per un dandy del secolo scorso.
La distinguevano dagli altri. »
sabato 2 gennaio 2016
I Buddenbrook; T. Mann
I Buddenbrook
Titolo originale: Buddenbrooks
Autore: Thomas Mann
Editore: Garzanti Libri
Prezzo: /
Photo by Busy Bee ©
Attraverso le vicende di quattro generazioni, l'ascesa e il declino di una famiglia borghese di Lubecca, nel romanzo più famoso del grande narratore tedesco.
Ho letto I Viceré e da allora non ho mai smesso di provare interesse per le grandi saghe familiari. Mi piacciono le storie che danno modo di affezionarsi non solo ai personaggi, ma a delle famiglie, e in cui si viene risucchiati quasi inconsapevolmente. Si finisce per prendere le parti di qualcuno piuttosto che di un altro, sperare che la fortuna giochi a favore del proprio beniamino e che il declino sia lontano. Se siete amanti di saghe familiari e sad books, allora mettetevi comodi e godetevi il viaggio.
Pensavo che di Thomas Mann, avrei letto prima La montagna incantata, libro a cui penso qualche volta, ma le storie vengono a noi seguendo non sempre un disegno logico. Questa volta ho seguito un consiglio e mi rendo conto di avere fatto benissimo.
Ho iniziato a leggere I Buddenbrook in contemporanea a Moby Dick: due classici in una sola volta, si direbbe, ma io sono poligama e ho bisogno di variare. La cosa bella di leggere più di un libro alla volta è che si rimane avvolti da una storia, non appena finisce l'altra, e che la solitudine post lettura dura di meno.
Alla letteratura tedesca, ho sempre preferito quella inglese, e più recentemente quella americana, quindi entrare a contatto con la società descritta nel libro non è stato difficile ma come respirare un'aria del tutto nuova.
Il libro si compone di undici parti e comincia con una scena simbolica: l'inaugurazione della splendida casa nella Mengstrasse.
La grande casa padronale è una dei protagonisti del romanzo, con la sua imponenza, la stanza dei dipinti, il sigillo posto sopra il portone d'entrata.
La famiglia Buddenbrook è, all'inizio del romanzo, nel pieno della crescita e dell'espansione. Ciò riguarda sia lo sviluppo familiare che quello della ditta Johann Buddenbrook. L'atmosfera festosa, di raccoglimento, coinvolge il lettore. Ci sono gli anziani nonni, pronti a lasciarsi coinvolgere dalla giocosità dei nipotini, coloro che domineranno il romanzo - Thomas, Christian e Tony - e gli adulti, Johann e la moglie Elizabeth nata Kroger.
L'opulenza della tavola dei Buddenbrook, in questa prima occasione che accoglie il lettore, ma poi spessissimo all'interno del romanzo, è chiave di un altro dei temi centrali - la borghesia.
Si sa che, nel romanzo di Mann, il mangiare bene e abbondantemente, è simbolo dello stare bene economicamente e della continua crescita sociale. I pasti sono descritti nel dettaglio, così come le portate, e sembra proprio che l'autore abbia chiesto, mentre scriveva la storia, di poter ricevere una grossa quantità di dettagli riguardo la cucina alla propria famiglia. La ricchezza di queste descrizioni, la spontaneità con cui sono tratteggiate un sacco di situazioni famigliari, in tutte le sfumature, fa credere che Mann abbia inserito nel suo romanzo della particolarità estrapolate dalla propria vita.
E così che si leggono aneddoti dipinti con estrema vivacità: la Tony che va in giro per la città, sentendosi regina, sottomettendo chiunque incontra ai propri scherzi, che litiga con i figli dei vicini e ne diventa nemica giurata; la compostezza di Thomas, l'indole scherzosa di Christian e la sua ipocondria.
Si, perché I Buddenbrook, romanzo corale, romanzo di una vita, è attraversato da un'altra tematica fondamentale: la malattia. Ma non è malattia qualunque, si tratta di sofferenza legata a doppio filo con l'esistenza che si conduce. Ricorrono i disturbi di digestione, legati a quegli abbondanti pranzi che si susseguono nella Mengstrasse. Anche chi muore viene solennemente accudito con brodi di carne, fino all'ultimo, poiché sembra che riempire sia molto meglio che lasciare vacante.
Più o meno tutti quanti i membri della famiglia hanno problemi legati al cibo; tutti tranne la "magra, sempre affamata e paziente Klothilde" parente povera. Che ironia. Ella ha il problema opposto: sembra che niente possa lenire quella fame atavica che ha. Lasciata agli scherzi dei suoi ricchi parenti, li sopporta con una sorta di stoica calma.
I disturbi alimentari dei Buddenbrook vengono curati dalle parole del medico Grabow, bonario e, come sembrerà, immortale. Piccione e pane bianco.
La figura del medico in questo romanzo è davvero indimenticabile. I Buddenbrook è inevitabilmente un romanzo pieno di morti, malattie e sofferenze, ma è impossibile non notare che il medico, pur essendo fedele e presente al capezzale del malato, non è mai in grado di cambiare la situazione. I rimedi medici non alterano quello che sembra essere il destino dei malati, seppure questi si pieghino con innocente fiducia alla speranza. Grabow stesso, lo pensa, che sarebbe quasi una sorta di interferenza vietare che quelle persone si comportassero come loro solito. E' più un testimone del decorso e della decadenza, più che un attore.
Come testimoni sono le folle che circondano la casa; gli amici, i colleghi, e ovviamente il narratore della storia.
La scrittura di Thomas Mann è meravigliosa. D'altronde, come si può non apprezzare un premio Nobel? Ho trovato questo libro di una ricchezza impressionante, e insieme di grande scioltezza.
I significati politici sono nascosti nelle pieghe degli eventi, in piccoli accadimenti che coinvolgono questo o quello ma che sono estremamente significativi. Tutto viene ben congegnato e segue una sorta di disegno, così che quando si sfoglia l'ultima pagina del romanzo ci si rende conto di avere guardato nella stessa direzione tutto il tempo. Si capisce che - Non poteva che andare così.
Quando Tony, ancora fanciulla, va a passare le sue vacanze al mare presso amici di famiglia, ecco che fa un incontro fondamentale per la sua esistenza - l'uomo che ama, ma che non sposerà mai, e che è un rivoluzionario con delle idee opposte alle sue.
Era inevitabile che Tony si trovasse spesso con le sue conoscenze di città sulla spiaggia o nel giardino del Kurhaus, che fosse invitata a questa o quella festa o a una gita in barca.
Allora Morten 'sedeva sulle pietre'.
Quelle pietre, fin dal primo giorno, erano divenute fra loro due un modo di dire fisso.
"Sedere sulle pietre" voleva dire "essere soli e annoiarsi".
Quando arrivava uno di quei giorni di pioggia che avvolgevano tutto il mare in un velo grigio, unendo con il cielo basso, e inzuppavano la sabbia sulla spiaggia e bagnavano le strade, Tony diceva: "Oggi dobbiamo sedere tutti e due sulle pietre... Cioè sulla veranda o nel soggiorno. Non le resta altro che cantarmi le sue canzoni studentesche, Morten, sebbene mi annoino terribilmente."
"Si," diceva Morten "sediamoci... Ma vede: quando c'è anche lei, non sono più pietre!"
Tony Buddenbrook è stata forse il mio personaggio preferito, la cui crescita viene descritta con maestria innata.
"Adesso non sono più un oca."
Ripete spesso, ogni volta che vuole incoraggiare gli altri a trattarla come una adulta, o farsi coraggio per affrontare le avversità. Tony ha una delicatezza tuta sua, ed un lato infantile che riesce a tenerla al riparo dalle spiacevolezze che le capitano. Nell'immaginario del lettore è vivido il suo bel volto chiaro e quel labbro superiore un po' sporgente.
Devo ammettere di avere sperato che, dopo le sue disavventure matrimoniali, incontrasse ancora il mai dimenticato Morten. Ma I Buddenbrook non è quel tipo di romanzo: non contiene speranza di felicità a lungo termine. Si percepisce, anzi, pagina dopo pagina, che la sfortuna è dietro l'angolo, e il talento di Mann si lega allo spirito del lettore così che è facilissimo, immediato, immaginare cosa accadrà. Si percepisce "l'odore" della sventura, per così dire.
Sua caratteristica fondamentale, tragicomica, è quella di volere che tutto sia distinto nella sua vita. L'orgoglio che prova nei confronti dell'importanza della famiglia la spinge a prendere decisioni sofferte, che mettono la sua persona in secondo piano rispetto al resto. Eppure, nonostante questo personaggio abbia in se i tratti della commedia e della tragedia, penso che sia il meglio riuscito. Riusciamo a seguire quasi tutta la sua vita, la sua evoluzione, e la lasciamo viva seppure quasi completamente alla deriva.
Indimenticabili, che spingono alla riflessione e al sorriso, sono i suoi discorsi al fratello Thomas, o alla madre. Fa inevitabilmente tenerezza.
Man mano che la narrazione prosegue, e sopratutto le generazioni cedono il posto alle altre, l'attenzione per il consumo dei banchetti, quell'atmosfera gaia, perde il ruolo centrale. Forse perché, non appena è Thomas a prendere il posto del padre negli affari, la figura del capofamiglia subisce una rivoluzione. Thomas non è come i suoi predecessori, mira più in alto, è più ambizioso e la scelta della consorte ( Gerda ) è per lui una sorta di passo in avanti. Gerda non è solo ricchissima, ma diversa dalle altre donne che popolano queste pagine. Ha grande amore e talento per la musica, suona il violino, e perciò viene vista da Thomas quasi come un gioiello che potrebbe abbellire la copertina già scintillante del libro di famiglia. Eppure la scelta della consorte non è che una delle avvisaglie: Thomas è destinato a fallire, e non solo economicamente, ma spiritualmente.
Nel suo stesso odio nei confronti dello sfaticato e malato cronico fratello Christian, ho letto i sintomi di una malattia che si sarebbe presto palesata è arrivata; la stessa malattia che lo spinge ad accettare un affare non troppo onesto, e che gli impedisce di amare suo figlio Johann - Hanno - del tutto.
Come l'azione del mangiare rappresenta una ben più ampia attività commerciale e vitale, allora perdere i denti, o far ricorso al dentista, non è che una oscura profezia.
Dopo alcuni anni di matrimonio, nasce il piccolo Johann ( chiamato poi Hanno affettuosamente ) e questo continuo ripetere dell'autore il piccolo Hanno, il piccolo Johann alla fine sembra una premonizione, come se si parlasse di uno destinato a rimanere piccolo per sempre. L'erede è salutato con una grande festa, ma agli occhi del lettore, quando gli anni passano, si palesa la crescente insoddisfazione di Thomas nei confronti del figlio. Questo bambino così delicato, la cui infanzia è costellata da incubi, e il cui carattere delicato non regge nemmeno l'esposizione di una poesia, è predestinato. Dopotutto, la mancanza di fiducia di una padre nei confronti di un figlio non è una sorta di maledizione? Thomas non fa che guardarlo con delusione, non fa che riprenderlo, attaccarlo, e sottoporlo alla tortura del dentista. Il fatto dell'estrazione dei denti, in continuazione, su un bambino così piccolo, e fragile, fa venire in mente un'idea che poi sarà lo stesso Hanno a sottolineare in seguito. Senza denti come si fa a masticare? Se i denti non sono buoni, allora questa vita fatta di forti appetiti non può essere affrontata.
"Non riesco a volere." dice Hanno a Kai - il suo unico amico - "Come farò a 30 o 40 anni, se adesso ho tutti i denti rovinati?"
Hanno cresce in una sorta di isolamento auto indotto e spezzato solo dalla presenza del piccolo conte Kai. Questi è l'unico che costituisce per lui un motivo di gioia, di compagnia, insieme alla musica - passione che la madre gli ha passato quasi per osmosi.
Devo ammettere di essere rimasta più colpita da questa parte del romanzo piuttosto che dal resto: queste pagine così vicine all'anima sensibile del ragazzo sono di una bellezza piena di delicatezza, di paura, e di una strana e brutale consapevolezza. Lui ha la consapevolezza di non essere adatto a questo mondo, cosa che il suo defunto padre, più che aver capito, ha presagito.
La fine di Thomas Buddenbrook è la più umiliante dell'intero romanzo, eppure su di me non ha avuto effetto di commozione, probabilmente perché considero questo personaggio il peggiore. La sua storia è costruita benissimo, tutti i fili vengono tirati, e spesso ho avuto la sensazione di assistere ad una sorta di teatrino dei pupazzi. Thomas rimane avvinghiato ai troppi fili che lui stesso ha messo in gioco, da cui non sa uscire, e che un giorno ha deciso di non sciogliere più.
E' iniziato come sensazione, questo pensiero che della fine - del declino - e si è tramutato in certezza. I suoi denti iniziano a marcire e anche lui deve farseli tirare. Quant'è spaventosa questa metafora dei denti che vanno tirati! E' una delle cose più brutali e tristi dell'intero romanzo.
E' iniziato come sensazione, questo pensiero che della fine - del declino - e si è tramutato in certezza. I suoi denti iniziano a marcire e anche lui deve farseli tirare. Quant'è spaventosa questa metafora dei denti che vanno tirati! E' una delle cose più brutali e tristi dell'intero romanzo.
Di ritorno a casa, cade in una pozzanghera, e li viene raccolto quest'uomo che s'è sempre preso cura di se stesso e che non ha mai avuto i baffi fuori posto.
La descrizione della morte, questo grande avvenimento sociale in cui gli estranei hanno parte integrante, è sempre trattata con accuratezza tale da legarsi benissimo alle peculiarità dei personaggi.
Se la morte del, nobile vecchio padre di Elizabeth Buddenbrook - nata Kroger - avviene in carrozza, d'improvviso, ammantata dall'orrore del vecchio che lascia spazio al nuovo, dopo una seduta parlamentare, quella di suo genere Johann è prematura e veloce. La morte della madre di Tony, Thomas e Christian è descritta nei particolari, tratteggiata così che il lettore immagini passo dopo passo il corpo rovinato dalle febbri, e la tenacia con cui la donna cerca di attaccarsi alla vita, poi finalmente il trapasso. Si tratta di descrizioni davvero crude, che colpiscono al cuore; peggiori risultano però, perché ammantate di quel misticismo che permane, le narrazioni riguardanti l'esposizione del cadavere.
Così guardiamo insicuri, silenziosi e disgustati, il corpo di quella che era stata Elizabeth Buddenbrook, esattamente come fa Hanno; quella non è la nonna, c'è rimasto solo un involucro, una maschera, e nulla di più!
Così guardiamo insicuri, silenziosi e disgustati, il corpo di quella che era stata Elizabeth Buddenbrook, esattamente come fa Hanno; quella non è la nonna, c'è rimasto solo un involucro, una maschera, e nulla di più!
E infine lui, l'ultimo Buddenbrook a cui nessuno ha dato troppa fiducia ( tranne la zia Tony, irreparabilmente ottimista e affettuosa ) va via in modo silenzioso.
Prima di farci capire che è morto, Mann si lancia nella descrizione di una sua giornata scolastica, ci fa sentire perfettamente il terrore che ogni scolaro assapora quando non ha studiato per le lezioni. L'atmosfera cupa, lontana, che avvolge quel ragazzino troppo delicato e straordinario, ci stringe fino a togliere il respiro.
Segue la descrizione di come il tifo uccide le proprie vittime, e siamo alla fine del romanzo.
"Ormai il piccolo Johann Buddenbrook riposava da sei mesi..."
Ecco, è tutto finito. Gerda ha deciso di tornare ad Amburgo dal padre, per potere ancora suonare con lui, come chiudendo una parentesi della sua vita che si è protratta per vent'anni, e Tony non trova alcun motivo per non essere d'accordo.
Il sapore in bocca è amaro, ma d'altronde il sottotitolo del romanzo è: Decadenza di una famiglia.
Il romanzo si chiude con le donne rimaste: c'è Tony, Gerda, le parenti nubili, quelle che furono sempre pronte a rallegrarsi delle sfortune dei protagonisti, Klothilde, magra e paziente, ma non più povera di loro ormai, e poi Sesemi, la vecchia e piccola insegnante di Tony. E' sopravvissuta a tutti quanti e, battagliera, si alza in piedi ed esclama che, si un giorno si rivedranno tutti quanti, senza lasciare alle altre modo di ribattere. Magra, magrissima consolazione.
Busy Bee
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