« Le piaceva passeggiare per strada con dei libri sotto il braccio.
Essi rappresentavano per lei ciò che il bastone da passeggio rappresentava per un dandy del secolo scorso.
La distinguevano dagli altri. »
sabato 14 novembre 2015
Dio di illusioni
Titolo originale: The Secret History
Autore: Donna Tartt
Editore: BUR Rizzoli
Prezzo: 11, 00 euro
Photo by Busy Bee ©
Un piccolo raffinato college nel Vermont. Cinque ragazzi ricchi e viziati e il loro insegnante di greco antico, un esteta che esercita sugli allievi una forte seduzione spirituale. A loro si aggiunge un giovane piccolo borghese squattrinato. In pigri weekend consumati tra gli stordimenti di alcol, droga e sottili giochi d'amore, torna a galla il ricordo di un crimine di inaudita violenza. Per nascondere il quale è ora necessario commeterne un altro ancora più spietato...
Durante le mie avventure in libreria mi capita spesso ( sempre ) di mettere gli occhi su di un libro e, pur non comprandolo subito, continuare a fargli la corte per parecchio tempo. E così è stato con questo, di cui mi ha colpito immediatamente la copertina. Un paio di occhiali a pince - nez, troneggiano in primo piano, sopra un libro. Ho ricordato subito il diabolico Don Gaetano di Todo Modo.
Ho letto la trama, l'ho sfogliato, e mi sono detta - attratta fortemente. L'ho comprato un paio di settimane dopo, quando mi sono trovata sola, a girovagare tra gli scaffali, e la mia gioia è stata sublime nel rendermi conto che potevo acquistare un altro libro senza essere vista e quindi "giudicata" la più grande spendacciona da tempi immemorabili.
Riguardo questo libro ho letto pareri discordanti, c'è chi lo ha amato e chi ha fatto addirittura fatica a terminarlo. Io ammetto di appartenere alla prima categoria e sebbene abbia impiegato molto a leggerlo ( ben due settimane! ) è stata una scelta ragionata.
Non volevo, lo ammetto, che finisse subito.
Dio di illusioni è uno di quei libri che si fa fatica a classificare come genere. Ha degli elementi del thriller, sicuramente del mistero, ma possiede mille altre sfumature, ed è proprio questo a renderlo così affascinante.
Viene narrato in prima persona dal protagonista Richard, un ragazzo californiano, e quello che racconterà è un viaggio che comprende le maggiori paure, pulsioni e sbagli, che un giovane possa probabilmente vivere mentre ancora si trova in quella delicata fase in cui sta cercando di trovare la propria strada. In questo senso, allora, si potrebbe dire che Dio di illusioni è anche un romanzo di formazione.
Tutto il libro è attraversato da una palpabile ansia di vita e di morte, dal terrore legato alla improvvisa felicità, la speranza che sfocerà senza dubbio nella delusione.
Si possono seguire molti filoni per parlarne, e anzi credo che il libro si potrebbe rileggere una volta per ognuno di essi senza stancarsi mai.
Mi piacciono moltissimo le storie ambientate nei college, forse perché ho sempre desiderato frequentarne uno; uno di quei posti nel verde, distaccati dal resto del mondo, dove si può dimenticare che a poca distanza esiste la città col suo chiasso febbricitante. Da questo punto di vita, ho trovato pane per i miei denti.
Richard vola via dalle distese sabbiose dell'opprimente California, e si ritrova in questo magico, mistico Vermont. La natura è molto presente, si intreccia perfettamente alla storia, fa da scenario come una sorta di palcoscenico che a volte riesce a determinare decisioni in vece degli altri attori - i ragazzi.
Belle e nebbiose sono le descrizioni delle giornate che si succedono, di quei paesaggi d'alberi e di montagna che sfumano in notti gelide, disperate, fumanti d'alcol e di droghe.
Siamo negli anni settanta/ottanta e l'America che ci viene mostrata appare come il riflesso che si legge nell'ambiente di Hampden, il college.
Che cos'è un college, se non la riproduzione in scala minore di ogni male e ogni bene che un giovane possa trovare? L'Hampden college è per Richard la casa che ha sempre desiderato, lui così bisognoso di lasciarsi alle spalle la sua infelice famiglia e l'ambiente stepposo, grigio, in cui è nato. Anche metaforicamente, è il Vermont ad essere simbolo di rigogliose, verdi, promesse.
Ho avuto modo di scoprire che Donna Tartt, scrittrice che ha vinto il premio Pulitzer per "Il cardellino", ha deciso di fare venire alla luce solo cinque romanzi nel corso della sua vita. Uno ogni dieci anni. Dio di illusioni è stato il suo esordio, acclamato dalla critica e di grande successo presso il pubblico.
Su tutta la storia, come se ci trovassimo in una meravigliosa favola gotica, si stende l'ombra di Julian, professore di greco, stimato e raffinatissimo intellettuale. Attorno a lui pochissimi allievi a cui si aggiunge, dopo qualche difficoltà appunto Richard.
Julian insegna ad una élite; facile per il lettore è ricreare mentalmente l'immagine di un lyceum aristotelico. Anticamente, il maestro era uno solo e gli allievi pochissimi, ed infatti diversi sono i riferimenti ad Alessandro Magno e al suo famoso maestro.
Quando entriamo nello studio di Julian, dimentichiamo di essere in America, ritorniamo in Grecia. Si tratta di un ambiente quasi da mille e una notte, ove la chiave per essere ammessi è conoscere il greco e, sopratutto, amarlo più di ogni altra cosa.
"Come posso farvi vedere la strana, dura luce che inonda i paesaggi di Omero, che illumina
i dialoghi di Platone, una luce aliena, inesplicabile nella nostra lingua? [...]
E mentre è adattissima a riflessioni come queste, la trovo invece carente quando cerco
di descrivere con essa ciò che io amo nel greco, quel linguaggio innocente di storture e magagne;
[...] In un certo senso è per questo che mi sentivo così vicino ai miei compagni di greco: anche loro conoscevano questo bellissimo e tormentoso paesaggio, morto da secoli; e avevano la medesima esperienza dell'alzare lo sguardo dai libri con occhi del V secolo, per scoprire un mondo lento e ignoto, in cui non si riconoscevano."
I suoi compagni. Henry, Camilla e Charles, Francis e Bunny. Penetrare nel loro mondo è uno strano viaggio che continua in molti tumulti, per poi scoprire di non avere capito appieno.
Davvero, leggendo di loro, non si pensa più che siano giovani americani che studiano in un college americano. A me piuttosto sembravano reincarnazioni di spiriti antichi; presenze, quasi, fantasmi che si scoprivano sorprendentemente vivi e a volte così freddi, nel pensare, agire, da ricordare una paesaggio estraneo - alieno.
All'inizio del libro, Richard fa una riflessione importante: dice che la sua è una mente irrazionale, portata al catastrofico, e invece una mente razionale, nata per gli studi classici, anzi di più - una mente antica, è e non può che essere fredda. Questo ragionamento sarà importante ricordarlo ogni volta che i mille pensieri del lettore, uniti a quelli di Richard, si scontreranno con la logica sprezzante, tronfia quasi, di Henry.
La hybris - la tracotanza.
Si rimane affascinati da questi ragazzi, ventenni ma lontani da tutti gli altri loro coetanei. Henry scrive il proprio diario in latino, parla fluentemente in greco con Julian, passa tutto il suo tempo a studiare come se fosse questo a mantenerlo in vita tra una fortissima emicrania ed un'altra.
Lo trovo un personaggio perfetto, il più riuscito, capace di grandissima generosità eppure così spietato da stupire il lettore. Si rimane senza fiato, davanti ad alcune delle sue frasi. "Non era certo Voltaire che abbiamo ucciso." dice, commentando l'omicidio che ha commesso.
Così come noi siamo affascinati da Henry e da tutti gli altri, anche Richard ne subisce l'oscuro richiamo. Diventa loro complice in tutto, felice addirittura che eventi così nefasti l'abbiano legato ad amici che forse rimarranno per sempre vicini.
Il dramma non è taciuto al lettore; si scopre sin dal prologo che uno di loro - Bunny - morirà. E' davvero incredibile che, pur conoscendo più o meno il fatto, uno continui ad essere così curioso e attaccato alle pagine del libro. Dipende dal fatto che l'attrattiva del libro non è la sua parte da "giallo".
Certo, molte sono le pagine di suspance, ma si tratta di un ansia riguardante l'introspezione del protagonista, più che l'attesa di eventi esteriori a lui. Non è mai come in un normale thriller perché molto gira intorno a Richard come uomo. E' solo lui che verrà messo totalmente a nudo, mentre gli altri sono svelati cupamente, a metà, per tre quarti. Poco. A volte pochissimo. Ma quel poco basta a tingere a tinte fosche la scena, provocando forti brividi.
Anche il modo di raccontare, durante i loro ampi, scorrevoli dialoghi, è indovinato e intenso. Mi riferisco a momenti in cui, insieme, bevendo in continuazione, rammentano i momenti più scabrosi delle loro notti di sbagli. Ed ecco che Camilla si apre a Richard, lasciando intravedere, negli splendidi occhi, immagini di una morte violenta avvenuta nella foresta. Mutilazione. Ombre. Urla. Qualcuno che corre con loro. Qualcosa. Il lettore rabbrividisce. Cerca di capire, ma sembra che la loro esperienza, incomprensibile in parte anche per loro, debba restare incomprensibile per il lettore. E così è. Quel mistero scabroso, grondante sangue - un rituale dionisiaco, quello che conosciamo avendo letto delle baccanti. Immagini di questi giovani che cercano di liberarsi delle loro umanità, che si alzano nel corso della notte, che sgozzano un porcellino per liberarsi dalla sfortuna, rimangono dipinte davanti a noi e non vanno più via.
Dietro di loro, o avanti, tutto intorno, sempre l'ombra di Julian. Mi sono chiesta spesso come mai questo personaggio non fosse di maggiore spicco, ma poi mi sono resa conto che è proprio questo il valore, il fascino, che l'autrice gli ha regalato. E' un ombra che non si rivela mai del tutto, ma che non scompare mai. Egli li ha influenzati, innamorati e incoraggiati, ma non si espone completamente. Se questo particolare sembra molto affascinante, alla fine si rivelerà catastrofico.
Parte importantissima di questo romanzo è il dovere affrontare la propria solitudine; si tratta di una solitudine non solo fisica, ma intima - morale. Le notti a chiedersi come tutto finirà, ad avere incubi, a strisciare sul fondo di se stesso, sono per Richard come una pena scontata nell'ade. Il lettore è continuamente messo sotto pressione. Da un lato la paura del protagonista, dall'altra quella freddezza raggelante di gesti e intenzioni che si riscontra negli altri.
Il romanzo è costruito alla perfezione, poiché quando si torna indietro, a pensare, tutto torna. Non c'è niente che rimanga scoperto, che lasci dei dubbi. O meglio, dubbi ce ne sono molti, ma nessuno sorge quando si pensa alla costruzione della storia. Raramente ho visto un intreccio così ben fatto.
Il distacco dei compagni, nei confronti del mondo esterno, viene rappresentato anche da piccoli episodi. Nessuno di loro sa che l'uomo ha trovato il modo di sbarcare sulla luna, ad esempio; nessuno di loro possiede o guarda la televisione. E invece sono in grado di parlare il greco attico, di coltivare la terra e conoscerne ogni segnale o segreto, di organizzare un omicidio per nasconderne un altro.
Sono pieni di difetti, abitudini aberranti; bevono e usano molte droghe. Eppure, quando aprono bocca per discorrere amichevolmente in greco ( "Kaire!" diceva gioioso Henry, al telefono, invece di un irritato "Pronto?") sono rivestiti da una particolare luce. Quella luce fredda che risplende sulle pagine di Omero.
Questa fredda bellezza è il tema portante del romanzo.
La bellezza è severa.
E' la prima frase che Richard impara, in greco, ma è anche l'ultima lezione.
Alla fine di questo lungo, gioioso, penoso, terribile apprendistato.
La bellezza greca è collegata con l'armonia. Bellezza è armonia, è un linguaggio. I personaggi di questo libro parlano quel linguaggio, ne sono assorbiti. Pur sporcandosi, secondo le leggi comuni dell'uomo, rimangono come illuminati e si riesce a vederlo - nonostante l'orrore.
Bellezza è anche orrore? Tutte le cose belle nascono e finiscono nell'orrore, ma di certo non nella codardia.
In questo mondo illuminato dalla bellezza antica, che vive in loro, ebbene c'è qualcosa di peggio rispetto all'omicidio - la viltà.
Julian rappresentava per tutti loro, quell'ideale di bellezza. L'intelligenza sublime, una rappresentazione vivente di un mondo nascosto soltanto dentro le pagine di qualche vecchio tomo; l'oracolo capace di donare le giuste risposte, i consigli. Bastava guardarlo, andargli incontro, sentirlo al telefono, lasciarsi rapire dalle sue splendide lezioni, per continuare a vedere quella realtà nascosta ai più. Persino il rettore, d'altronde, non aveva il permesso di entrare nello studio di Julian, concessione fatta solo ai suoi studenti. "E chi diavolo è lei?!" grida Charles, barcollante e ubriaco, quando nello studio abbandonato del suo professore, trova il rettore. "Io - disse quello mellifluo. - sono il rettore." Ebbene, che importanza ha? Nessuna.
Niente ha più importanza quando ci si rende conto che dietro l'apparente calore di Julian non esiste nulla. Un guscio vuoto, una delusione; un uomo egoista che non si fa scrupolo di abbandonare i suoi allievi per salvare se stesso. E' questa la bellezza? Henry non può sopportarlo. Ha sopportato la propria malattia, l'omicidio di ben due persone, il pericolo di perdere la libertà, gli interrogatori, pressioni di ogni genere, ma non può e non vuole sopportare la delusione.
Henry si tolse gli occhiali: non mi sono mai abituato a vederlo senza, all'aria nuda e vulnerabile
che assumeva sempre. "E' un codardo" riprese. "Nella nostra situazione avrebbe fatto esattamente
ciò che abbiamo fatto noi: solo che è troppo ipocrita per ammetterlo."
[...] Puntò su di me gli occhi smorti, assenti.
"Lo amavo più di mio padre" disse. "Lo amavo più di ogni altro al mondo."
E quindi, alla fine, forse per riportare la bellezza dove è stata tolta; per dare un senso a tutto ciò che è successo, preme il grilletto contro se stesso. Il bisogno di provare che gli ideali in cui credeva non erano falsi, che quella lealtà antica, nascosta da un velo, era reale - presente, lo spinge a compiere il sacrificio.
Per questo motivo è impossibile disprezzare il personaggio. Non si può! Perché in tutti i suoi misteri, rimane adesso, nell'ultimo, fatalmente sincero e fragile. Coerente.
C'è in questo finale tutta la disperazione di dovere abbandonare le proprie illusioni - e crescere.
La verità, per Richard, per noi, pesa quanto un macigno, ma sappiamo cosa significa essere liberi.
Dio di illusioni è un romanzo con la forza di un tornado, una bellezza travolgente. Rimarrà sempre uno dei miei preferiti, facendomi sentire stranamente - a casa, lontana e vicina.
Busy bee.
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