« Le piaceva passeggiare per strada con dei libri sotto il braccio.
Essi rappresentavano per lei ciò che il bastone da passeggio rappresentava per un dandy del secolo scorso.
La distinguevano dagli altri. »
venerdì 23 ottobre 2015
Via dalla pazza folla; Thomas Hardy
Via dalla pazza folla
Titolo originale: Far from the madding crowd
Autore: Thomas Hardy
Editore: Garzanti
Prezzo: 9, 90
Photo by Busy Bee ©
Hardy è un meraviglioso creatore di figure femminili, e Batsceba, la protagonista di "Via dalla pazza folla", è la prima e la più incantevole di esse. Irrequieta e indipendente, intelligente e svagata al tempo stesso, crede di raggiungere una completa autonomia quando eredita un magnifico podere e un'antica casa signorile. Ma la bella forestiera finisce col trovarsi contesa fra tre pretendenti: lo sfortunato, ma forte e sereno Oak, suo lavorante e fattore; il ricco fittavolo Boldwood, grave e austero; lo spregiudicato sergente Troy. È quest'ultimo ad avere la meglio sulle prime, ma alla fine sarà Oak con la sua cieca e malcompresa devozione a salvare le sorti della padrona e del piccolo mondo bucolico di Watherbury dai rovesci della sorte. Affascinante ballata rurale e primo grande romanzo di Hardy, "Via dalla pazza folla" (1874) è insieme il punto di passaggio fra la maniera idillica degli esordi e la visione tragica della maturità.
Dopo avere letto Tess dei d'Urberville, ho capito che dovevo assolutamente continuare con T. Hardy e ho preso in libreria quest'altro suo scritto che mi attirava tantissimo a causa del titolo. Trovo che sia in italiano che in inglese, abbia qualcosa di molto affascinante e mi ritornava in mente come una piccola filastrocca.
Questo di cui parlerò oggi viene considerato come un punto d'incontro tra la scrittura idilliaca e positiva di Hardy e quella più drammatica che si condenserà in libri come Tess.
Il romanzo si apre col sorriso di quello che, secondo me, è il personaggio migliore della storia: Gabriele Oak, giovane e morigerato fittavolo, e l'arrivo della protagonista - Batsceba Everdene.
Egli l'ammira, di nascosto, mentre la giovane viene portata sopra un carretto, nell'atto di osservare il proprio riflesso nello specchio, con evidente compiacimento. Il giudizio è repentino: gli sembra vanitosa.
Batsceba, che si sta recando dalla zia, è una giovane donna di intensa bellezza; Gabriele, umile e generoso, appare subito come il suo contrario. Tra i due ci sono delle differenze che li rendono opposti, partendo dai nomi.
Ho notato subito che il nome Gabriele ha reminiscenze angeliche mentre quello della ragazza si rifà ad un racconto biblico. "Betsabea" era la moglie di Uria, della quale il re Davide si invaghì. Il re la fece chiamare nel suo talamo, e, dopo avere cercato invano, di fare giacere con lei il marito, richiamandolo con una licenza dalla guerra, per coprire la gravidanza, lo punì mandandolo a morire in battaglia.
"Questo dispiacque al Signore, che colpì il bambino il quale morì il settimo giorno."
Un nome del genere non poteva che presagire delle sventure, ovviamente, e mette in evidenza la natura da tentatrice della ragazza.
Gabriele si innamora subito di Batsceba e la chiede in moglie. Il suo atteggiamento è diretto, non nasconde nulla alla ragazza che ha davanti. Lei gli oppone subito un rifiuto, considerandolo palesemente inferiore a lei per condizione e per carattere.
In questo momento la semplice vita del giovane gli si rivolta contro; perde la possibilità di diventare fittavolo, dopo che una tremenda sciagura gli fa perire le pecore, e viene anche rifiutato da Batsceba. Subisce perdite economiche e morali, ma il suo comportamento non perde quella grazia di cui lui sarà depositario per l'intero corso della storia.
I rivolgimenti della trama hanno sempre un perché nei romanzi di Hardy, non c'è mai niente che venga inserito per caso. E così, quando Gabriele, più povero di prima, decide di spostarsi verso Weatherbury, incontra una povera giovinetta di nome Fanny per la strada. Li per li il lettore classifica quel particolare come insignificante, ma è uno dei punti saldi della storia; un punto che si allaccia alla fatale importanza del luogo e della natura.
Come anche in Tess, la natura è in gran parte protagonista. Si tratta della natura del Wessex di Thomas Hardy, una regione ancora lontana dalle migliorie che l'età industriale porterà. Il lettore ha la sensazione di entrare in un mondo ben racchiuso, da cui non si può e non si vuole uscire. Le forze e gli attori che operano all'interno di questo spazio sono misteriose, intense, e regolate da severissime leggi a cui se ci si oppone non si può che aspettarsi di venire puniti.
Il tempo è scandito dalle stagioni; il mondo di Batsceba e Gabriele è strettamente regolato dai cambiamenti climatici, poiché è un mondo rurale. Vengono descritte in modo meticoloso scene pastorali, cosicché l'approssimarsi di una tempesta, di un monsone, è letto nei comportamenti degli animali, grosse rane, pecore, uccelli, oltre che nei mutamenti del cielo. E infatti Gabriele è un ottimo lettore della terra, oltre che della vita umana, e conosce le stelle. E' in grado di leggere l'ora guardando il cielo, e non solo salvaguardare l'esistenza di pecore e messi.
Gabriele giunge a Weatherbury, dove anche Batsceba ormai vive. Ella ha ereditato la licenza di fittavolo del ricco zio appena scomparso, e si trova ora ben più ricca di quanto avrebbe sperato di essere. Posizione e ricchezza evocano a gran voce una indipendenza che peraltro si confà allo spirito ribelle di Batsceba.
Non si può che rimanere almeno sorpresi, se non affascinati, dal coraggio con cui questa donna del suo tempo, si getta nell'avventura che è condurre una fattoria. Si reca nella terra, sovrintendendo alle operazioni più delicate, e alle fiere ove solo gli uomini sono presenti per condurre gli affari.
Devo ammettere di essere stata colpita dalla sua iniziale risoluzione e che l'immagine di lei, piccola e graziosa figura, tra i molti uomini in fiera, mi ha strappato un sorriso.
Purtroppo questa sua indole fiera, indipendente, che le fa guadagnare molti punti nella mia stima, si unisce ad una immaturità che la spinge a commettere gravi errori. L'autore ripete spesso che l'indole di lei è al contempo ragionevole, per certi versi, ma fin troppo femminile per altri. Come se in lei si unissero due personalità che, da un lato l'aiutano, e dall'altro la rovinano. Tutte le persone, in genere, hanno dei lati migliori e peggiori, ma in Batsceba sembra che questi ultimi non le diano scampo.
Ella paga tutti i suoi sbagli, nel corso del libro, e nonostante il lettore voglia perdonarla, non può che assistere al dispiegarsi degli eventi messo in moto da determinate azioni.
Questo, io credo, è una caratteristica dei romanzi di Hardy. Si tratta di uno specifico carattere del romanzo, quasi da melodramma.
Assistita dalla superficiale cameriera Liddy, Batsceba, la cui indole la spinge a desiderare di essere ammirata da tutti, invia un biglietto anonimo al fittavolo Boldwood, suo vicino.
Ecco che alle fitte trame del romanzo se ne aggiunge un'altra; ecco che pian piano si svelano le intenzioni dell'autore nei confronti della sua protagonista.
Dopo avere ricevuto la proposta di matrimonio da un uomo che ella definisce spietatamente, senza curarsi di potere sbagliare, non alla sua altezza, Batsceba è offesa dalla noncuranza con cui la tratta il secondo protagonista maschile del romanzo - Boldwood appunto. Questi è un uomo definito dall'opinione comune come freddo e dignitoso. Nel cuore della ragazza, quindi, come un oscuro desiderio, si insinua la voglia di fargli cambiare idea.
Da questo sventato gesto, la sventura più profonda.
Boldwood si trasforma, diventa un uomo che nulla ha da spartire con l'assennato e maturo fittavolo che era prima. Ed è una trasformazione davvero pregna di umiliazione, patetismo e un senso del ridicolo che non sfugge al lettore e neppure alle altre persone che stanno intorno ai protagonisti. Uomini, sopratutto, impegnati in lavori manuali e artigianali, molti uomini forse per lasciare che la figura di Batsceba si dischiuda rosea e femminea ancora di più tra di loro.
Gabriele, Batsceba, gli uomini lavoratori, e persino la sciocca Liddy, sono testimoni del cambiamento di Boldwood e consapevoli della sua incipiente follia.
Il nome della protagonista ritorna a spandere una luce negativa, non appena si riflette sullo stato del suo nuovo spasimante. In questo punto la Batsceba moderna e quella biblica sembrano un tutt'uno, visto come Boldwood, invaghito a morte, cerca di ottenere la ragazza in qualsiasi modo. Nonostante lei lo respinga, pentendosi amaramente di avere concepito l'idea del biglietto, lui continua e continua fino a che le sue azioni non lo porteranno a decisioni addirittura insane.
Quest'uomo è senz'altro vicino agli stalker moderni. L'ossessione che ha per Batsceba lo rende odioso al lettore, e così è stato per me. Insieme a lei, via via che la situazione si complica, noi giungiamo a desiderare che egli sparisca e non si faccia più rivedere.
A questo punto la nostra protagonista ha rifiutato Gabriele Oak, ha attirato per capriccio e poi rifiutato il fittavolo Boldwood, peraltro preda ambita da tutte le altre donne del posto, ma cade nella trappola dell'uomo meno decoroso che il destino avrebbe potuto mettere sulla sua strada.
Nel cuore della campagna, di notte, si compie il fatale incontro con il sergente Troy, uomo che definire leggero sarebbe un eufemismo. Lui la corteggia rozzamente, e l'autore è maestro nel mostrare quanto sia vacuo il sentimento che in realtà lui prova per lei. Non è altro che un capriccio, uno dei giochi prediletti di quell'uomo vanesio, millantatore e sbagliato. Non solo sbagliato per lei, ma anche per Fanny, la ragazza che l'autore aveva inserito parecchie pagine prima, durante l'arrivo di Gabriele presso Weatherbury.
Solo adesso si può dare una spiegazione a quell'incontro. Ella, poveretta, stava scappando durante la notte per andare ad incontrare il suo amante e futuro marito - appunto il sergente Franco Troy.
Egli, in zona, gode di una brutta fama. Non è altro che un incostante, poco serio, e nessuno si aspettava che la piccola Fanny potesse presso di lui trovare il giusto riparo. Infatti Troy sposerà Batsceba, dopo un breve periodo di alti e bassi.
Salta all'occhio l'eccellente differenziazione dei caratteri di questi uomini. Sopratutto, durante la danza violenta e sofferente che Batsceba balla con Troy, è possibile confrontare le differenze tra Oak e Boldwood. Il loro modo di essere, di comportarsi, è così diverso da potere essere paragonato alla luce del giorno e al buio della notte.
Con tristezza apprendiamo che dopo il matrimonio la "felicità" è un fenomeno in costante riduzione. Troy si rivela presto per quello che è, delude e tormenta sua moglie rendendola una creatura spenta. La giovane ragazza piena di vita non esiste più; si rende conto di avere ceduto il proprio orgoglio, accettando di sposare un uomo che non le è pari per intelligenza e sentimenti. Queste considerazioni postume non la aiutano in niente, ella si lascia completamente andare, e i suoi affari minacciano di risentirne.
E' sempre Gabriele a vegliare su di lei e la fattoria; ritorna fortemente l'immagine di lui, come l'ho percepita io, e cioè quella di una sorta di angelo protettore che non smette mai di proteggerla. Quest'uomo instancabile, deciso, sempre "calmo", accetta umilmente che non potrà mai ricongiungersi alla donna che mai ha smesso di amare, ma non l'abbandona. Questo da il pretesto di giudicare come migliore il suo amore, rispetto a quello pazzo e scellerato di Boldwood, quello falso e vacuo di Troy, nei confronti di Batsceba. Lo scrittore sembra volere suggerire che il vero amore è qualcosa di costante, che non arde come fuoco dirompente, ma lambisce le persone in modo più quieto senza mai spegnersi.
La morte di Fanny, sola e afflitta, da una svolta al romanzo. E' tempo che anche Batsceba si renda pienamente conto di chi ha sposato. Tutte le carte vengono scoperte; viene colpita da un dolore tanto grande che sembra attraversare le pagine, come un onda, e scivolare via in un continuo e disperato lacrimare. Si rende conto che l'uomo che ha affianco non l'ha mai amata, che ha amato un'altra, che entrambi si sono resi complici della morte di quella fragile creatura.
Anche in questo romanzo entrano dei momenti in cui la religione si lega ad un senso di macabro misticismo.
Quando Batsceba, alla ricerca della verità su Fanny e Troy, apre la tomba della giovane donna, vede il suo freddo corpo legato a quello del bambino nato dal peccato, ecco che agli occhi del lettore si profila una scena dopo l'altra di autentico sapore dark.
Il ritmo si fa incalzante, abbandonando la lentezza che ha preso in certi momenti del romanzo.
Batsceba vive momenti di forte impatto emotivo. Li affronta con molto dolore, ma anche con una dignità che aumenta man mano che gli eventi si susseguono. In lei c'è sempre la consapevolezza di avere sbagliato, di avere anche meritato tutto quello che è successo, e il desiderio di fare penitenza si rivela maggiormente quando rimane vedova.
Si tratta di una vedovanza a cui non si riesce a credere. Troy, per desiderio di evadere da quella situazione a lui insopportabile ( anche lui si è accorto di non avere mai amato la moglie), fugge e finge la propria morte. Batsceba, nel profondo del cuore, non può credere di essere libera dal suo terribile matrimonio, ma porta il lutto per nove mesi.
Boldwood torna all'attacco, disinteressato ormai di se stesso e degli affari che gli competono, occhieggiato da tutti come un uomo in rovina. Farebbe di tutto per accaparrarsi Batsceba e fa leva sul suo senso dell'onore, sul suo desiderio di penitenza, pur di strapparle una promessa che le fa sanguinare il cuore ad ogni respiro. Ricordandole quello sconsiderato gesto di gioventù che la spinse a mandargli quel tanto deprecato biglietto di S. Valentino, le strappa la promessa di diventare sua sposa entro sei anni - anni che lei dedicherà ad una pensosa solitudine.
Le infila un anello al dito, durante la festa di Natale, ferendola intimamente, costringendola in un modo che lo rende totalmente inviso agli occhi di chi legge. Egli è completamente cieco, non si accorge del dolore che le provoca, non vede e non sente nulla, del tutto deciso a prendere ciò che vuole. Assomiglia ad un rapace che, puntata la preda, si getta su di essa senza tenere conto di altro se non il proprio insano desiderio.
E' davvero molto ben fatto il cambiamento, tassello per tassello, che quest'uomo subisce. E' la trasformazione di un uomo che, in realtà, non è mai stato in grado di amare realmente.
Il culmine della "folla" del titolo, viene raggiunto, proprio durante questa festa di Natale. Lo spregiudicato e opportunista Troy, decide di tornare dalla moglie, e si presenta provocando il trambusto immaginabile. E' come vedere un morto che riemerge dagli abissi del Tartaro. Ordina a Batsceba di tornare a casa con lui, ma ella cade in uno stato catatonico, disperato, incredula e scioccata da quella rivelazione in perfetto tempismo. Il dramma esplode, scoppia insieme ai colpi di fucile dell'innamorato pazzo Boldwood. Troy muore e con lui muore anche la libertà di dell'assassino. ( Boldwood teneva in casa, si scoprirà in seguito alla sua condanna al confino, una vasta collezione di abiti e gioielli che avrebbe dovuto regalare alla donna tanto desiderata in seguito al loro matrimonio. Il tutto recava il titolo "Batsceba Boldwood". Se non è ossessione e stalking questo! Davvero inquietante.)
Devo ammettere di avere tirato un sospiro di sollievo; immaginavo che questo romanzo dovesse finire bene, ma l'intreccio mi aveva dato molti dubbi a riguardo.
Da questo momento in poi, i fili che hanno retto tutte le difficoltà si sciolgono. La giovane e bella Batsceba Everdene è ormai una donna per necessità. Gli sbagli, i torti subiti, l'hanno cambiata. Ha imparato a disprezzare chi non è giusto, e ha riconosciuto spesso il valore dell'unico uomo che le è stato accanto senza volere nulla in cambio - Gabriele Oak.
Lo sguardo di lei sembra divenire sempre più lucido, perdere quella patina che l'ha congelato, facendole commettere errori gravi, la mattina in cui incontra il suo amico di lunga data davanti alla chiesa. Insieme guardano la tomba di Fanny, ove è anche seppellito Troy, e lei si rende conto di quanto prezioso sia stato lui.
Il finale è ben lieto, comprensibile, e per una volta lascia un piccolo sorriso sulle labbra. E' Batsceba ad andare da Gabriele, per evitare che egli parta e la lasci; è lei ad aprire il suo cuore, come è giusto che sia, e questo segna ancor di più il distacco da quella ragazza vanesia e superficiale che lui aveva incontrato anni prima. Adesso c'è una donna dal sorriso pacato, che conserva un po' di quell'aria birichina che l'aveva folgorato al primo incontro.
La lettura è stata piacevole. Mi ha dato modo di riflettere, di arrabbiarmi e sorridere con i personaggi, e di apprezzare ancora una volta la scrittura di Thomas Hardy.
Nella descrizione del romanzo ho letto che Tess è l'eroina più drammatica, e su questo non ci sono dubbi, e che Batsceba la più incantevole. Certo, non si resta indifferenti di fronte ad un personaggio che ha saputo cambiare, lottare e superare le vicissitudini anche molto tristi, ma per me Tess è insuperabile. Rimane lei la più incantevole.
Busy Bee
Curiosità
Da poco è uscito al cinema un film tratto da questo romanzo. Io non l'ho visto, ma consiglio sempre la lettura del libro.
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giovedì 15 ottobre 2015
Tess dei d'Urberville; Thomas Hardy
Tess dei d'Urberville; Thomas Hardy
Titolo originale: Tess of the d'Urbervilles
Autore: Thomas Hardy
Editore: BUR
Prezzo: Questa vecchia edizione 10 mila lire.
Photo by Busy Bee ©
Ci sono libri che, non appena li hai in mano, capisci quanto saranno importanti per te, come se potessi percepirne la potenza. E' stata questa la sensazione che ho provato, non appena ho scelto la mia nuova lettura. Adesso, nonostante le varie sensazioni che si agitano dentro di me, quella più forte è la gratitudine. Non bisogna mai sottovalutare la bellezza di avere incontrato un'autore del genere e, finalmente, avere potuto entrare in contatto con la sua scrittura. Ho l'abitudine di considerare, alcune perle letterarie, dei veri e propri doni, che il tempo e i vari intrecci che esso opera, lasciano capitare nella mia vita proprio al momento giusto.
Ci sono letture giuste che vengono fatte al momento sbagliato, e perciò abbandonate, considerate con poco interesse, e letture sbagliate affrontate in momenti in cui il lettore è molto aperto, prodigo all'apprendimento e curioso come non mai. Si da il caso che questo libro sia stato giusto in un momento in cui voglio ampliare i miei orizzonti.
Hardy ha avuto una vita che trovo interessante; qualsiasi cosa facesse, riusciva a farla bene. Sin dalla giovane età imparò a suonare, divenne architetto e, insignito di premi a riconoscere il suo valore in tale campo non si fermò e non fu solo un eccellente rappresentante di questa classe lavoratrice. Mi piacciono molto i personaggi dai molti talenti e sicuramente Thomas Hardy ne aveva diversi e tutti di alto livello. Infatti, dopo avere raggiunto un picco nella sua prima carriera, decise di impegnarsi nella scrittura e lo fece in modo da diventare uno dei più grandi romanzieri vittoriani. Chi non ha mai sentito parlare di titoli come quello che oggi presento, oppure altri come "Via dalla pazza folla" o "Giuda l'oscuro"? Sono esempi di tale importanza, nel vasto mondo della letteratura, da rappresentare una sorta di sfondo sognante per coloro che pur non avendo ampliato il loro panorama hanno atteso che fosse il momento giusto per approcciarsi a queste letture.
Leggendo un poco di Hardy, ci si trova di fronte alla sua vita, un percorso, scandito da fasi in cui lo scrittore dalle prime prove, ove la natura si presenta, bucolica e selvaggia, nel suo "Wessex", giunge al culmine del pessimismo nell'ultimo romanzo in seguito al quale smetterà la carriera di romanziere. Sarebbe bello leggere tutta l'opera e solo dopo scrivere qualcosa su di lui, magari avendo anche letto le sue poesie. Si, perché dopo un decennio di fatiche romanzesche, Hardy si dedica solo alla poesia. Si tratta, secondo le critiche, di un lavoro degno di poeti altissimi, ad opinione di noti autori come Eugenio Montale per esempio. La sua più monumentale opera di poesia è "I Dinasti" a cui si aggiungono altre raccolte, alcune indirizzate anche alla moglie che l'aveva lasciato prima del tempo.
Hardy continuò a lavorare alacremente fino in età avanzata, e al compimento dei suoi ottanta anni ricevette una lettera firmata da cento autori inglesi che rendevano omaggio alla sua prosa e alla sua poesia. Morì a Max Gate, nel Dorset, suo luogo natale che aveva reso celebre nei romanzi denominandolo Wessex.
Una ragazza tenace e sfortunata, figlia della povertà dei campi, vittima dell'uomo e dell'età industriale: è Tess dei d'Urberville, protagonista di uno dei capolavori del romanzo vittoriano. La tranquilla contea inglese del Wessex, antica denominazione anglosassone del Dorset, è teatro di sordide vicende e di soprusi: l'ingenua Tess, ultima rappresentante di una nobile famiglia decaduta, viene sedotta e abbandonata in giovane età, costretta a seppellire un figlio nato malato, battezzato da lei stessa con il significativo nome di Dolore. Condannata come "donna perduta" dall'opinione comune, non si arrende alla propria condizione: cerca il riscatto attraverso il lavoro e il matrimonio con Angel Clare, figlio di un pastore evangelico, turbato dal passato tormentato della moglie. In un crescendo di vicende drammatiche, Tess troverà riposo solo all'ombra dell'antico tempio pagano di Stonehenge, come una vera vittima sacrificale dei tempi moderni.
Il modo più intelligente di affrontare questo libro è rendersi conto di non potere, anche con uno sforzo ciclopico, usare lo stesso metro di ragionamento degli uomini e le donne che abitano le pagine del romanzo. Tra noi e quell'epoca, sembra esserci molto più distacco di quello che un paio di secoli possono produrre.
Così è stato per me, che ho vissuto gli accadimenti del romanzo, come lottando in prima persona, conscia che, dopo battaglie, lacrime e lunghissime riflessioni, avrei comunque perso. Troppi sono i segni premonitori che lo scrittore inserisce nel libro, perché il lettore possa non scorgerli o addirittura ignorarli. Ci troviamo di fronte ad una serie di innumerevoli e inquietanti esempi di quello che verrà, come se l'intreccio fosse governato da una volontà superiore a cui non si può sfuggire in nessun modo.
[...] Hardy sa che il romanziere ispirato dal destino possiede un unico dono; quello di "vedere".
- Pietro Citati
E' questa la sensazione che si ha, leggendo, di essere governati da una volontà superiore che ha già visto "tutto" e che ha definito, per la nostra eroina e le sue pene, una fine che non potrebbe essere diversa da quella che è.
Un gallo che canta durante il pomeriggio; un cavallo che muore atrocemente, durante una sfortunata notte; lettere rosse, come sangue, tracciate duramente a sigillo di quella che viene considerata la linea retta da seguire; un marito che porta la sua sposa in braccio, sonnambulo, depositandola in un luogo gelido e oscuro e infine, quella stessa sfortunata sposa, posta sulla fredda pietra di Stonehenge, a riposare, come offerta in sacrificio, nella emblematica scena finale del romanzo. Questi, e non solo, moltissimi altre, possono essere considerati come segni premonitori che, facilmente, il lettore attento lega e ne traccia un disegno doloroso ma pieno di fascino.
La vista che regola questa storia, inizia e prosegue in preda ad una sfortunatissima serie di eventi, la cui battuta d'inizio viene dato da un parroco il cui strano senso dell'umorismo impedisce di mettere un freno alle sue intuizioni da storico.
"Buona sera" esclamò l'uomo col paniere.
"Buona sera, Sir John" rispose il parroco.
Il viandante, dopo uno o due passi, si fermò e voltò.
"Sentite, signore, scusatemi, l'ultimo giorno di mercato ci siamo incontrati su questa strada, all'incirca a quest'ora e io dissi 'Buona sera' e voi avete risposto 'Buona sera, Sir John' come ora."
"E' vero" confermò il parroco.
Molte volte, non si può fare a meno che interrogarsi, supponendo, chiedendosi, se quella tale frase non fosse stata pronunciata, o quell'errore fosse stato frenato, o quel tipo di orgoglio smussato, allora la portata del disastro avrebbe sicuramente deviato la violenza che alla fine si è espressa.
Ma Tess è un eroina, una sorta di splendida e ingenua nobile decaduta, e deve lottare al massimo, esprimere più che può quelle che sono le sue parti migliori e forse anche quelle peggiori. Nel suo essere si mescolano una forza di carattere per cui è facile paragonarla ad una una nobildonna di tempi ancora più antichi, ed una dolcissima fragilità che la rende amabile. Così non si può che restare ammaliati da lei, quando lo scrittore parla dei suoi occhi pieni di così tante sfumature e della sua bocca carnosa, dei capelli scuri; ma da lei irradia una sorta di aura, per via di quel carattere che innamora ancora di più. Tess è indomita, non smette mai di lottare; non si adagia mai, sconfitta, in un letto ad aspettare la sua ora. E' una creatura passionale, combattiva, ma compassionevole e matura, decisa a sacrificarsi più d'una volta in favore di chi nemmeno comprende il suo sacrificio.
La solitudine che circonda la sua figura, come quando ella fuggendo alla paura di essere ancora oggetto di violenza, si rintana nel folto della natura e li trova uccelli, vittime della sete di sangue dell'uomo cacciatore, è un tratto fondamentale di lei. Non si riduce ad un solo momento, ma si biforca lungamente e raggiunge ramificazioni infinite.
Tess è nata da una famiglia che non gli è mai d'aiuto; a volte sembra che lei sia una trasposizione dei suoi antichi antenati, non più parte di quel nucleo distrutto e inutile, percepito anche da chi sta loro intorno come in un bivio. La sua stessa famiglia non la protegge, anzi, per un sogno senza fondamenta, sciocco, pieno di vanità, la precipita nelle fauci di un orco che le farà del male.
Quanto è triste, superata la prima parte del romanzo, trovarsi una pagina vuota con al centro solo l'emblematica frase "Non più fanciulla"?
Il suo primo vero viaggio si conclude in rovina ed allora, ancora giovinetta, si trova a dover fare nascere e poi subito dopo seppellire un bambino nato malato - nato da un male incurabile che è un amore ossessivo riversato violentemente sulla protagonista.
Ci si sente così fragili, leggendo, ma allo stesso tempo forti, si vorrebbe proteggerla Tess, ma ben presto si capisce che niente potrà salvarla.
Nel corso del romanzo colpisce l'importanza che l'autore da alla natura e ai fenomeni atmosferici. Questo Wessex di cui Hardy parla è il Dorset, arcaico e imbevuto di antiche tradizioni anche pagane. Nell'immaginazione del lettore, queste terre piene di brughiere, ma anche di oscuri pendii e lande brulle, appaiono vividamente. Le descrizioni sono quelle meravigliose che fanno credere di essere li, e non al sicuro a casa propria; forse sensazioni del genere, così complete, non le avevo provate nemmeno leggendo Cime Tempestose dove la potenza della brughiera sembra fagocitare il lettore. Lo stesso accade in questo romanzo, ma la maestria con cui Hardy narra del paesaggio fa pensare più all'abilità di uno scultore che a quella di un pittore. Le caratteristiche del paesaggio, sono accompagnate dagli effetti che i fenomeni atmosferici hanno su di loro e sono per questo rese più crude, più intense e impresse nell'animo di chi legge. Proprio come uno scultore, per modellare la statura su cui lavora, imprime con più potenza possibile i propri attrezzi sul marmo, così Thomas Hardy costruisce il Wessex. Questo è l'effetto che la sua scrittura ha avuto su di me; si è impressa a fondo, con la perfezione di contorni che solo un opera di gelido marmo può avere.
Affinché ci si possa calare al meglio nel romanzo, come ho detto all'inizio, bisogna assolutamente cercare di capire qual'è l'epoca in cui è ambientato. Un'epoca diversa non è solo distanza temporale, da noi altri che viviamo al riparo della tecnologia e della nostra moralità, ma pensare e sentire diverso.
Da parte mia, so che anche tenendo conto di questo, non avrei mai potuto rimanere meno indignata o accumulare scusanti per coprire atti vergognosi. Per questo motivo, leggere Tess è una continua lotta; perché è impossibile restare silenti, quando alcuni giudizi vengono montati sulla base di atti che non sono stati scelti ma semplicemente sono accaduti.
E' vero, essere un romanziere significa rappresentare dei fatti inventati, ma in questi c'è sempre una verità che viene narrata come dietro una parete sottile. Quante donne dell'epoca, venivano abbandonate solo perché, a causa di violenze da loro e solo da loro subite, erano poi considerate sporche e indegne?
In questo libro, come in un oceano in perenne lotta, è stata riversata l'eco delle loro voci.
L'uomo che Tess ama, o sarebbe meglio dire che lei venera, è un'uomo del suo tempo. Non un'uomo di mentalità aperta, sebbene egli si senta così, e non troppo diverso dai propri fratelli che egli giudica quasi aspramente. Angel Clare ( un nome scelto con molta ironia dall'autore ) si innamora di Tess, avendo di lei una visione che si discosta dalla realtà della ragazza.
Su di loro, sin dall'inizio del romanzo, pesa una sorta di malaugurio. Nel momento in cui si videro la prima volta, ad una piccola festa tra giovani donne, egli ballò con molte ragazze ma non con lei.
Come si può non considerare questo punto se non come un'altra delle premonizioni che pesano sull'andamento degli eventi?
Lascia l'amaro in bocca, al lettore, come alla stessa Tess, che ricorda con "delusione" quel momento, anche dopo anni.
Il loro rapporto è costruito sulla base di una naturale predisposizione ad innamorarsi l'uno dell'altra. Ed è qui che si comincia a subire il carico d'ansia che anche Tess subisce. Giorno e notte, ora dopo ora di lavoro, lei vive questo fortissimo contrasto interiore, che provoca dubbi, palpiti. E' giusto o no dire la verità? Sarebbe meglio mentire oppure rivelare ogni sfumatura del proprio animo? Ognuno è libero di congetturare come meglio crede, ma la verità serpeggia sotto il doloroso continuare degli eventi. Ed è proprio quando non si può più tornare indietro, che la realtà sembra lampeggiare e ferire come se fosse un coltello che penetra nel profondo.
La dolcezza di quell'amore che lei merita, si tramuta in astio, delusione, ed una ferma decisione di abbandonarla e fuggire. Ella non può che accettare la decisione del marito a cui ha confidato la verità troppo tardi.
Già questo, di per se, basterebbe a distruggere la vita di chiunque. Tess, il cui spirito è stato già stuprato, ripete diverse volte nel corso della storia, quanto in realtà vorrebbe morire. Quanto vorrebbe essere morta! E non è un semplice modo di sfogarsi, ma la pura verità. Sembra anche avere la capacità di "sentire" quanto gli eventi le siano avversi, nonostante la speranza nutrita dall'idolatria verso il marito la spronino a continuare a vagare. E' un viaggio senza posa il suo, sempre pieno di quella solitudine dolente, che colpisce il cuore di chi legge, e non gli da nessuna tregua.
Oltre alle descrizioni della natura, così potenti, anche quelle del lavoro restano molto impresse. Tess è all'inizio una balia di polli, presso i parenti Stoke/ d'Urberville, e poi mungitrice, nel suo periodo più felice, forse l'unico periodo un po' gioioso a Talbothays; infine lavoratrice nei campi, impegnata a snidare con le mani colpite da gelidi venti, le rape. E poi anche nel più pesante possibile lavoro nei campi, sui covoni di grano. Instancabile, riversa la sua ansia e il suo dolore, nel continuo lavoro al gelo. Questo modo di tirare avanti, quasi annullandosi nel lavoro, è l'unico modo che conosce per auto punirsi e anche per sopravvivere. Così povera e abbandonata come è, rinuncia alla possibilità di contattare i suoceri che mai ha conosciuto, e vive un anno di terrificante solitudine. Si, perché la solitudine non è soltanto non scambiare mai una parola con nessuno, ma sopratutto non essere curati, amati, quando in realtà il proprio merito lo imporrebbe a chi è amato da noi.
Tess si piega al volere del marito, dunque, accetta la sua volontà e rimane lontana da lui. La sua sottomissione brucia molto, sopratutto quando si riflette affondo sulla personalità di Clare.
Io credo che la religione, in questo libro, non faccia altro che creare il male. Il credo degli altri, di cui si fanno scudo per affrontare il mondo ancora arcaico del Wessex, non aiuta mai Tess. La fede dei genitori di Clare non è abbastanza incisiva da contagiare il figlio e quindi renderlo uomo prodigo al perdono; i predicatori che imbrattano muri e pareti con inquietanti frasi ammonitrici, ingombrano le pagine del romanzo con la loro ombra quasi diabolica. Fanno paura, a Tess, a noi che leggiamo, e non sono mai d'aiuto. Si tratta di quella religione che non salva, ma spinge al terrore più profondo, al senso di colpa che non svela le porte del paradiso, ma attira in un vortice di cieca ironia. E infatti, non dimentichiamo che a dare inizio a questo dramma, è proprio la sarcastica scoperta del parroco che si rivolge al padre di Tess chiamandolo Sir John. Questa religione che sa di fanatismo si attacca alla figura più grottesca del romanzo: Alec d'Urberville, colui che strappa l'innocenza di Tess.
E' il massimo della beffa; egli, non un d'Urberville, ma uno che si è appropriato di questo nome senza avere gli antichi natali che il nome appunto ricorda, toglie alla ragazza la fanciullezza e poi si ripresenta a lei, quando ormai la ruota degli eventi messa in moto dalla violenza, l'ha portata a diventare la creatura abbandonata e disperata che è. E si presenta come un convertito, un pastore d'anime, addirittura spinto alla conversione da un uomo considerato irreprensibile. E chi altri può essere se non il padre di Angel Clare? Ironia e beffa.
Questa sorta di diavolo non fa che perseguitarla, tentarla, seguirla e dimostrare quanto questa fede sia falsa. Angel, lontano, continua ad essere lo spirito guida della ragazza, ed ella si rivolge a lui, pregandolo di tornare per salvarla perché sente che sul suo cammino è giunto il tentatore. Adesso potrebbe deviare dalla sua via e cedergli per aiutare la madre e i fratellini. E' come se in questa parte del romanzo riecheggiasse la risata continua di Alec d'Urberville, una smorfia aberrante e spaventosa che il lettore, insieme a Tess, vorrebbe dimenticare ma, Oh, non può.
Purtroppo, nonostante il romanzo sia stato scritto nel 1891, ho trovato delle somiglianze con la vita del nostro mondo moderno. In particolare, quella predisposizione degli uomini a considerare Tess una tentatrice. In lei viene vista una sorta di dea pagana, che con le sue labbra rosse, gli occhi splendidi, la bella figura, inquieta e attira gli uomini innocenti. Sia Alec che Angel Clare, rendono ben visibile questa visione che hanno di lei. Tess diventa una tentatrice, una bugiarda ed una donna sporca. E invece non lo è, anzi rimane sempre una creatura dal cuore puro, intatto, per tutto il romanzo.
Anche oggi, molti uomini considerano le donne come tentatrici, e molte violenze vengono scusate con l'abominevole frase "Se l'è cercata." Se una donna è bella, sorridente, allora se l'è cercata. Uomini di tale fatta non sono diversi da Alec d'Urberville, che considera Tess a metà tra un oggetto e una ninfa che l'ha sedotto.
In lei c'è qualcosa di misterioso, ma come dice, cercando di difendersi, quando una donna risponde con un "No" a volte vuol dire esattamente questo e non un Si velato da civetterie e maliziosi sentimenti.
Sin dall'inizio del romanzo mi aspettavo di soffrire molto, ma il finale mi ha davvero portata all'annientamento. La fugace felicità che, alla fine, i due ricongiunti innamorati godono, è talmente effimera da far sanguinare il nostro cuore. Ma non è questo il lato peggiore, non la breve durata del loro "ritrovarsi", ma è che è troppo tardi. Tardi per tutto.
Tess ha ceduto; ha raggiunto il suo demone e s'è lasciata possedere. E' questo che spezza il cuore, e non il volto smagrito, doloroso, di Angel Clare, che intanto ha faticosamente raggiunto una svolta nella sua dubbia e cieca morale.
Si compie il delitto; una macchia rossa che copre il pavimento, che gocciola dal soffitto e si lega a quel cupo rosso che abbiamo spesso visto in altri segni nel corso del libro, ed è lo sguardo di una estranea a mostrarci il delirio e il dolore di Tess. Ancora una estranea che scopre gli amanti, abbandonati in una casa senza padroni, fa sembrare quegli attimi come velati da un riserbo che smorza l'incidere della penna di Hardy. Forse l'autore ha deciso di fare guardare prima Tess, e poi lei con il marito, da un occhio estraneo, per abbassare un po' la potenza con cui avrebbe demolito pezzo dopo pezzo tutto quello che era rimasto.
Nella penultima scena, ritorna nel pieno delle forze, quell'elemento mistico che riempie tutta l'attenzione del lettore.
Quel posto era tutto porte e pilastri,
alcuni uniti al di sopra di un architrave continuo... e fu ben presto chiaro
che costituivano una foresta di monoliti.
La coppia avanzò in questo padiglione
nella notte, finché non si fermò nel centro.
"E' Stonehenge!"
Tess / sa / benissimo che tutto dovrà finire e che finirà presto. Il suo ricongiungimento col mai dimenticato marito sarà di durata breve ed è con tenera lucidità che lei lo sussurra all'orecchio dello sposo. Sebbene lui voglia salvarla e ripeta, in continuazione, che non potrà mai più odiarla, lei non gli crede; non fino in fondo. E anche noi sappiamo che una macchia come quella, non potrà mai essere dimenticata. Se non subito, forse lui avrebbe ricominciato a disprezzarla?
Comunque, quella che è certa è la loro rovina.
Di quella coppia che si era scambiata sguardi, tanti anni prima, ad un ballo in bianco, non è rimasto nulla se non un ricordo.
Quella potenza che era in loro e che prometteva tanta felicità, si è svilita fino a scomparire, ed ha lasciato una realtà quanto più lontana dal sogno - tetra.
Il luogo, Stonehenge, è il massimo del misticismo.
"Sacrificavano a Dio, qui?" domandò Tess.
"No" le rispose.
"A chi, allora?"
"Credo al sole. Quell'alta pietra laggiù, isolata, è in direzione del sole, che tra poco sorgerà dietro."
Tess si lascia cadere sopra una pietra, proprio li, dove in antichità esseri innocenti venivano sacrificati a qualche entità lontana che teneva tra le mani le sorti dell'universo. E' facilissimo vedere in lei, adesso, quello stesso sacrificio. Ed è li che la trovano coloro che la porteranno ad essere giustiziata.
Alla fine del romanzo, avrei voluto che Clare rimanesse solo, ad inaridirsi ancora di più, pagando le proprie colpe, ma non è stato così. Tess, poco prima di chiudere gli occhi al riposo, gli ha fatto promettere di prendersi cura della sorellina minore, che per lei rappresenta tutto ciò che lei era e non è più. Nella sua grande generosità, vuole fargli dono di una se stessa che non esiste più e che lui non ha potuto amare.
Il romanzo si chiude proprio con loro due, Angel Clare e la piccola Liza Lu, che subito dopo l'avvenuta "giustizia" e cioè la morte di Tess, si avviano verso la loro nuova vita. Tenendosi per mano "continuano il cammino".
Si, perché sembra che solo la morte di Tess possa liberare quel tempo da una sorta di maligno incantesimo che il crescere degli eventi ha voluto accrescere come un enorme incendio.
Busy Bee.
Curiosità
La BBC ha tratto una mini serie dal romanzo di Hardy. I protagonisti sono Gemma Arterton e Eddie Redmayne. Ieri sera ho visto la prima puntata e ne vale assolutamente la pena!
lunedì 5 ottobre 2015
L'amore in un clima freddo; Nancy Mitford
L'amore in un clima freddo; Nancy Mitford
Titolo originale: Love in a cold climate
Autrice: Nancy Mitford
Editore: Adelphi
Prezzo: 12, 00
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| Photo by Busy Bee © |
La letteratura inglese è stata il mio primo amore. Quando avevo quattordici anni decisi di iniziare la mia istruzione in merito e mi tuffai sui libri della Austen! Furono un nettare per la mia curiosità praticamente illimitata su tutto ciò che riguardava la società e lo stile di vita inglese dell'ottocento. Da allora ho continuato e non mi sono più fermata. Eppure, è stato un incontro inaspettato e molto recente il mio con Nancy Mitford, donna dai molteplici talenti e famosissima autrice di fortunati romanzi e note biografie di uomini e donne appartenenti alla storia.
Uno dei modi che in assoluto adoro, per conoscere un nuovo libro, è quello di trovare dei riferimenti nei libri che ho in lettura. Mi è successo mentre rileggevo Me before you; come solo una fan ossessiva può fare, sono andata a caccia dei pochi titoli citati nel romanzo. L'amore in un clima freddo è stato il primo su cui ho messo le mani. Ed è stato un piacere.
Queste edizioni Adelphi, sono dei capolavori per gli occhi e per lo spirito. Non appena ho estratto il libro dal suo involucro di plastica, mi è caduto tra le mani rivelando tutta la sua morbidezza. Si, morbidezza. La carta che fa da copertina sembra infatti essere satinata e da una sensazione serica paradisiaca. In copertina c'è una splendida foto d'epoca che ritrae la Mitford insieme a delle amiche; tutte e quattro sono acconciate con sfarzosi vestiti e un broncio che ricorda tempi ormai andati, sebbene si tratti di donne appartenenti al XX secolo.
"Le sei sorelle Mitford divennero una leggenda tuttora venerata
non solo in Gran Bretagna, per le loro vite sconvenienti, o politicamente riprovevoli,
o per avere lasciato lettere, memorie, romanzi, di squisita intelligenza...
Tutta la famiglia estesa, con cugini e zii e cognati e suoceri e vicini, tutti nobilissimi,
con casseforti piene di gioielli e non una sterlina da spendere per il riscaldamento,
entra camuffata e affettuosamente vilipesa anche in L'amore in un clima freddo
dove a raccontare in prima persona gli incalzanti eventi della sconnessa
famiglia Montdore è la debuttante Fanny."
La decadente e romantica copertina mi aveva ingannata; mi aspettavo un romanzo ambientato negli anni d'oro dell'aristocrazia e invece mi sono ritrovata con qualcosa di completamente nuovo da affrontare. Gli eleganti anni 30 sono entrati di prepotenza nel mio immaginario non appena ho dato inizio alla lettura. "In questo periodo sei dedita alle letture romantiche" mi è stato detto, quando all'annuncio che leggevo qualcosa di nuovo è seguito il titolo del libro. Ebbene, questo non è un libro che parla d'amore nel senso più comune del termine. Si tratta di una lettura che, nonostante l'ampia dose di ironia, esplora una classe sociale e lo fa con tocco da maestro.
Mi sono sempre piaciuti i libri scritti da autori che avevano vissuto "quella determinata situazione" oppure "quella determinata epoca" e la Mitford come la Austen, è stata protagonista della società di cui parla. Quindi la narratrice è una sorta di alter ego della scrittrice; una osservatrice ingenua, ma anche acuta, che tuttavia fa cogliere al lettore ogni sfumatura della situazione.
Ci troviamo nella campagna inglese, non troppo lontano da Londra, ma nemmeno vicino. Al centro dei racconti di Fanny, la narratrice, c'è la famiglia Montdore - nobilissima e ricca oltre misura. Fanny è una loro parente e, sin da piccola, abbandonata da una madre adeguatamente ribattezzata "la fuggiasca", si divide tra il palazzo dei Montdore e le dimore ( meno lussuose ma più accoglienti ) degli zii, condividendo spesso tempi e spazi con Polly Montdore unica figlia di Lord e Lady M.
La penna di Nancy Mitford è scorrevole, intrigante, e freschissima. Ogni parola sembra incoraggiare il lettore ad andare avanti, tant'è che ho dovuto spesso porre un freno alla mia avida curiosità imponendomi di fare delle pause.
Se siete degli estimatori dell'umorismo inglese, del fascino mai perduto della nobiltà, dei bizzarri stili di vita di vecchi nobiluomini e scalatrici sociali, allora questo libro è fatto per voi. Infatti, a dispetto del titolo, non è un freddo e distaccato affresco di qualcosa che fu, ma assomiglia ad un racconto dettagliato di qualcosa che è. D'altronde dovrebbe essere proprio questo l'effetto che un romanzo di successo ha, accompagnare chi legge proprio in quella stanza e non lasciare mai che l'occhio curioso si allontani dalla scena descritta. Ed è così, ci si sente immersi nelle scoppiettanti avventure dei tanti protagonisti e si è assuefatti alle massicce dosi di glamour, ironici pettegolezzi, tanto da desiderarne ancora e ancora! Leggere questo romanzo equivale a sedere nelle eleganti sale di Fortnum and mason, prendere un tè, guardandosi intorno, ed essere certi che da un momento all'altro si assisterà all'entrata in scena di un ex regnante o di un arciduca. E' il nostro privato palco all'opera, il cannocchiale perfetto che spinge l'occhio a spiare una dimensione sconosciuta e divertente. E' così che si fa la conoscenza della bislacca, avida, Lady Montdore, attenta solo a rimarcare, con mezzi tra i più sibillini, che è padrona di "tutto questo" e del consorte Lord Montdore, ex viceré di origini francesi.
Montdore house è il centro delle curiosità dei parenti di Fanny, i vivaci Radlett, zio Davey e zia Emily. Nonostante l'allure che circonda l'intero romanzo, credo sia possibile riconoscere negli spettatori quella familiare attitudine al pettegolezzo maligno che risiede in ogni buon vicino di casa che si rispetti. Quanto sono succulente le storielle scabrose, se sorbite insieme ad un buon tè, davanti ad un caminetto, mentre più d'uno zio scrupoloso mette a disposizione le proprie conoscenze sul bel mondo?
E ce ne sono tante di storielle così, di intrecci, di interessanti particolari che sembrano splendere tanto quanto i diamanti di Lady Montdore.
Il mistero inspiegabile che cala sulla persona della splendida Leopoldina "Polly" Montdore, un angelo biondo, una creatura tanto distante e fredda da assomigliare ad una statua, è molto affascinante. Ella è talmente diversa, ostile alla madre, da spingere il lettore a sostenerla in un primo momento. Se Lady Montdore, un po' come la signora Bennett, non vuole altro che dare marito alla figlia, Polly sembra essere lontanissima anche solo dall'idea. E mentre l'infaticabile, eccentrica madre, perde speranza spasimante dopo spasimante rifiutato, i pettegolezzi scoppiettano nelle case degli zii di Fanny, dove ci si diletta a conservare ricordi e produrre strani riti con l'eleganza consueta. Vengono fatte le più strambe proposte, erogate teorie su teorie, perché nessuno si spiega come mai la bellissima ragazza dagli occhi azzurri non abbia mai coltivato neppure una passione nonostante stia arrivando a compiere vent'anni. E i giovani che le vengono presentati sono scoraggiati dal distacco di lei, dai suoi modi così indolenti e privi della vivacità che le giovani debuttanti hanno.
Tutte sembrano trovare la loro strada; Fanny si sposa, così come le due maggiori Radlett, e Lady Montdore trova consolazione solo nel criticare nei loro matrimoni una mancanza di nobiltà o denari. Eppure, di giorno in giorno, la sua bella figlia non le da che delusioni.
Ed è li, in un momento di relax, come se tutti avessimo ormai perso le speranze, che lo scandalo scoppia. Ognuno è chiamato a fare le proprie congetture, a ridere o dispiacersi per i vari personaggi, ma l'importante è farsi catturare dalla verve narrativa della Mitford. E come potere resistere?
L'altezzosa, gelida Polly, si rivela una creatura stravagante al pari di sua madre, e si continua la lettura con un sorriso ironico. Chi avrebbe potuto scegliere, se non l'uomo più sconsiderato, più vecchio e inadeguato del mondo? Colui che è sempre stato sotto gli occhi del lettore e, sebbene sia addirittura conosciuto col soprannome di "l'osceno oratore", in qualche modo si nasconde ai nostri occhi. Il tutto viene risolto in una nuvola di ironia, di pungente freschezza inglese. Nascosti al clamore di Westminster Abbey, nella cappella di famiglia, con la presenza di "qualcuno" e non di "tutti" i due genitori vedono una figlia ed una erede che sparirà al braccetto di uno sposo non troppo felice. La notizia, la perdita dell'eredità, il matrimonio e la partenza, avvengono con velocità e "serenità" innaturali. E non si tratta di descrizioni poco accurate, ma della freddezza interiore, della superficialità d'animo di cui sono pieni tutti i Montdore. La figlia non ha interesse nell'essere diseredata; Lord Montdore, più si va avanti nella lettura e più lo si riconosce come una sorta di spettro, non osa ribellarsi assolutamente ai voleri vendicativi della moglie quando decreta di togliere tutto il possibile alla figlia. E infatti, Lady Montdore, viene sistematicamente privata, in seguito ad un poco duraturo scoppio d'ira, del dolore di cui una madre non si sarebbe mai dimenticata in tutto il corso della restante vita. Ella, non solo è come se cancellasse sua figlia, ma la rimpiazza con un individuo migliore ai suoi scopi; si trasforma, diventa un'altra, e quando infine si ricongiunge con la prole gli unici commenti riguardano cose talmente futili da mettere nel lettore raccapriccio.
I momenti di ironia, sollazzo, non mancano; il romanzo ne è pieno. Si farebbe presto a fare una articolata lista delle moine, vizi e artifizi di cui sono pieni i personaggi. Il riso e l'ironia si convogliano dalle pagine alle labbra di chi legge, come se fosse in atto una sorta di tempesta che li sta trasportando. Mentre da una parte si è rattristati, alla fine, quasi turbati dalla vacuità di cui sono ebbri i Montdore; dall'altra parte è impossibile non restare affascinati e ammaliati dalla vivacità, dolcezza e originalità di tutti gli altri personaggi.
La lettura di questo libro è altamente consigliata! Prendete il libro, una tazza di tè e dei macarons, e godetevi un viaggio in limousine verso gli splendori decadenti dei nobili inglesi del novecento. Non ve ne pentirete!
Busy Bee
Curiosità
Grazie al cielo la Mitford ha scritto altri due romanzi legati a questo. "Non dirlo ad Alfred" e "Inseguendo l'amore" entrambi narrati dalla nostra Fanny.
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